Nati al Vestuti

Vincenzo Leccese

Vincenzo Leccese è stato uno dei protagonisti indimenticabili della Salernitana anni 80. Terzino insuperabile, disputò 6 campionati con la casacca granata, guadagnandosi sul campo i gradi di capitano. “Per me che sono nato ad Agropoli, aver giocato a Salerno è stato un sogno, la massima aspirazione. Vivere a Salerno, essere qui a ricordare con affetto i tempi del Vestuti, e soprattutto essere ricordato è manifestazione di affetto nei riguardi una persona che ha dato e ricevuto tantissimo.

Non è la classica retorica ‘Sono stato a Salerno, tifosi bravi, città bella’: la mia è un’esperienza che si rinnova, continuo a toccare con mano il calore della gente; in giro, al bar, in ufficio. Quando mi confrontavo con i tifosi mi dicevano: ‘Ci devi dire la verità perchè sei uno di noi’. Questo vale tutto.

Se perdevamo una partita stavo male una settimana, era troppo l’attaccamento. In tanti anni di Salernitana, esperienza unica, il solo rammarico è la mancata vittoria di un campionato. Ci andammo vicinissimi nella stagione 81-82, un’annata magica per me (i compagni mi elessero miglior giocatore della squadra): venivamo da una salvezza in extremis con Lamberto Leonardi allenatore – gran persona ed ottimo tecnico – ed un manipolo di giovani, con tanto di 6 mesi di squalifica del campo per un’invasione e la tragedia del terremoto; quella salvezza fu come una vittoria, anche perchè – al contrario di quanto succede oggi in terza serie – il livello delle squadre era altissimo.

Come detto, quell’81-82 fu anno strepitoso. Fra tutti i centravanti marcati mi segnò solo Bozzi del Benevento con un gol piuttosto fortunoso. Fu il mio migliore campionato in assoluto, con una grande squadra ed una grande società. C’erano tutte le componenti per fare bene. Ci tagliò le gambe un pari interno contro il Campobasso di De Maio, Biondi e Canzanese (autore del gol).

Eravamo molto ben assortiti, era una gioia andare in ritiro. Io ero in camera con Chiancone, che si addormentava subito dopo 3 scrocchiate di dita mentre io facevo molta più fatica. Roberto era davvero un giocatore di categoria superiore ma a Salerno non si è realizzato soprattutto per il suo caratteraccio. Nemo profeta in patria.

Non iniziammo benissimo, perdemmo 2 partite delle prime 4 e l’ambiente si fece particolarmente elettrico; in casa col Latina, l’arbitro Luci stava per espellermi ma lo indussi a riflettere: non era il momento giusto per essere così esigenti, l’ambiente era sin troppo carico. Esonerato Giammarinaro, arrivò Romano Mattè, che ci dette soprattutto tanta serenità. Gestì la situazione alla Mourinho, attirando tutto su di sè ed evitando che si parlasse di altre problematiche.

La sua tranquillità, abbinata comunque a giocatori di spessore e carisma, fu determinante. Lui impostò la squadra così come andava fatto ed i risultati arrivarono, fino alla partita ‘maledetta’ col Campobasso. Era un tipo tranquillo, sereno, disponibile per tutti. Quell’anno Marconcini ebbe un prolungato record di imbattibilità, eravamo la terza difesa in assoluto. L’epatite che lo colpì ci condizionò non poco, ci avrebbe fatto comodo poter contare sulla consistenza e la continuità di Marconcini (non me ne voglia l’ottimo Ceccarelli, grande amico) nel momento topico del campionato. Per me il portiere (forte) equivale a mezza squadra.

E forse ci mancò anche un’alternativa valida a Zaccaro in avanti. Tuttavia, affrontavamo le situazioni nel modo più positivo, come gruppo unito, come squadra. L’uno poteva contare sull’altro, ciò si traduceva anche in una certa ‘sfrontatezza’ sul campo.

Del Favero, che grande amico! Viaggiavamo insieme, un bonaccione col quale legai molto. Aveva una capacità di tiro straordinaria. Antitesi di Mattè fu Giampiero Ghio, assunto nel 1984 dopo la separazione pre-campionato da Toneatto. L’arrivo di Ghio fu come un ciclone e non apprezzato da tutti. Da perfezionista maniacale, a fronte del sereno Mattè, iniziò con tantissima teoria già dal ritiro di Bojano: ci alzavamo, chiacchierata di 1 ora sul corpo umano e la fisiologia, pranzo, riposo, altra oretta di teoria e poi sul campo.

Fu comunque buon allenatore e motivatore. Facemmo davvero il massimo, arrivando quarti. L’anno dopo sbagliò volendo fare l’accentratore, senza direttore sportivo. I risultati non ci furono e lui pagò. Era l’anno della FISA, la Finanziaria Salernitana, e l’assenza di una figura ‘filtro’ non lo agevolò: troppa enfasi, troppa pressione. Lo rimpiazzò Sereni. A Salerno è un po’ come a Torino con la Juve: la gente ti sta addosso, l’ambiente è già carico e bisogna saper ‘sdrammatizzare’.

In ogni caso, ad ognuno il proprio ruolo, al massimo delle possibilità. Ricordo con orgoglio, in 15 anni di carriera, di essere stato sostituito e/o di aver chiesto di uscire pochissime volte. Solo col Monopoli, nel campionato ’86-’87, non mi fu possibile proseguire: avendo l’abitudine di giocare sempre, con qualsiasi temperatura, senza sottomaglia e con i calzettoni bassi, mi colpì una crisi di freddo non appena il vento gelido di quel giorno asciugò il mio corpo intriso d’acqua dopo un ‘tuffo’ in una pozzanghera. Uscimmo io e Conforto. Non mi reggevo in piedi, non respiravo. L’ottimo dottor Liguori fece il possibile ma stavo proprio male; chiaramente, in partita, complice la ‘trance’ agonistica, non sentii nulla ed avvertii il malessere all’intervallo.

Rivolgo un pensiero doveroso al ‘Siberiano’, che accomuno a quella tifoseria dove c’era colloquio vero, amore vero. Grande e imponente fisicamente, ma buono e rispettoso. Da lui mai nessun incitamento a proteste violente o invasioni. Ci stimavamo, gli rivolgo un saluto affettuoso lassù.

Nel calcio di oggi vedo pochissimo sport, pochissimo gesto tecnico. C’è tanta enfasi, polemica, denaro, ma nulla che ‘rimane’ di concreto. Oggi ricordiamo il tatuaggio, lo sputo, la protesta, le veline. Dovremmo parlare di calcio, di sport. Gli esempi dei primattori stessi (sin dai ragazzini delle giovanili) non sono positivi e i tifosi vanno oltre: non è possibile annoverare morti per andare a vedere una partita. Eppure ci sono molti che vanno allo stadio solo per fare guerriglia.

Oggi è tutto amplificato, tutto esagerato. Le invasioni di una volta erano quasi una barzelletta, ora si parla di spranghe, di accoltellamenti. La cosa grave è che non c’è intenzione a punire e ad individuare seriamente questa minoranza. I mezzi utilizzati (tornelli, tessera del tifoso, biglietti nominali) sono palliativi inutili, anche i Poliziotti sono poco tutelati. Sono molto deluso. Ecco perchè quando sento ‘Vestuti’ mi brillano gli occhi. Ben venga il ‘vecchio Vestuti’, ben vengano quei valori di una volta che si sono completamente persi“.

[foto di copertina da carrierecalciatori.it]

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