Nati al Vestuti

Bruno Incarbona

Bruno Incarbona, protagonista di quella Salernitana che nel 1989/90 conquistò una storica promozione in serie B. Tornante dalle spiccate doti realizzative, micidiale nei tempi di inserimento, Incarbona ripercorre in un sorso la sua avventura in granata.

Domanda banale ma inevitabile: che ricordi hai di quel periodo? Città, pubblico, compagni di squadra…

I ricordi di quegli anni sono tanti e bellissimi: una città che aspettava una promozione da 25 anni, quindi affamata di calcio vero, un gruppo così unito e compatto che si trova raramente e poi un pubblico caldo e passionale. Insomma un mix perfetto per fare solo che bene.

Sei rimasto in contatto con qualcuno?

Solo con qualcuno; con Di Sarno (difensore centrale di quella squadra, ndr) ci siamo incontrati a Roma, Battara (il portiere, ndr) l’ho sentito che era da poco con Mancini al Manchester City. Per il resto è un po’ difficile sentirsi, però sarebbe bello organizzare una partita tra vecchie glorie a Salerno.

Ti piaceva il calcio di “allora”, meno artefatto e patinato di oggi?

Il calcio di allora era diverso rispetto a questo attuale; più passionale, giocatori che comunque erano sempre in mezzo alla gente e non come ora che praticamente sembrano delle star. Era un calcio vero e genuino. Si, preferivo quello dell’epoca mia.

Un anèddoto del periodo salernitano che ti è rimasto particolarmente impresso

Ce ne sono tantissimi, ricordarne uno in particolare non è facile però posso dirvi che nello spogliatoio e in ritiro era un continuo di scherzi e risate. Con Ciro Ferrara (difensore di quella squadra, nda) eravamo tremendi, se succedeva qualcosa – e magari non eravamo stati io e lui – la colpa era sempre la nostra. Tagliavamo pantaloni e calzini a tutto spiano: insomma un gruppo di amici veri, e di ottimi calciatori.

Una figura e/o un posto del periodo salernitano cui sei particolarmente legato

Come faccio a non dire la Costiera, da Vietri in poi. Ci ho abitato per 2 anni. E le persone che tutt’oggi vedo, solitamente a Natale, sono Bernardo, Nello e Matteo, amici veri che sono sempre stati accanto a me negli anni in cui ero lì.

Un ricordo particolare del compianto Agostino Di Bartolomei…

Ago per me era un esempio di come si doveva comportare un professionista, viaggiavamo insieme quando tornavamo a Roma e lì era il momento più bello: mi raccontava di tutto, perfino quella maledetta serata di Coppa Campioni con il Liverpool; una guida dentro e fuori dal campo, una persona perbene. Cosa difficile, anzi rarissima, in questo mondo.

Come sei arrivato alla Salernitana?

Fu un venerdi e la Domenica iniziava il campionato contro il Casarano (stagione 1988/1989, ndr). Venivo dall’Arezzo, dove avevo disputato un campionato intero di serie B insieme a tanti giovani che poi sono diventati bravi calciatori: Nappi, Silenzi, Dell’Anno, Tovalieri, Ruotolo. Però ero di proprietà del Barletta, dove avevo vinto il campionato di serie C, insomma un piccolo vincente. Giocammo ad Avellino contro il Napoli di Maradona e lì Enrico Fedele mi chiese se volevo andare alla Salernitana, scendendo di una categoria. Accettai senza nessun problema immediatamente e – in tutta sincerità – fui felicissimo.

Dopo Salerno, dove ti ha portato la carriera?

Dopo la Salernitana, o meglio dopo aver vinto il campionato, sono andato a Terni, poi 2 anni a Palermo, dove ho rivinto il campionato e la coppa italia di C, poi Juve Stabia, con cui feci lo spareggio (per andare in B nel ’93/’94, ndr) contro la Salernitana al San Paolo e poi altre squadre minori.

Cosa fai adesso?

Ho una tabaccheria a Roma, sono professore di educazione fisica e – ahimè – alleno in Promozione, insomma sono super impegnato ma spero sempre di poter tornare – magari con qualche incarico – a Salerno.

[foto di copertina da granatissimi.ottopagine.it]

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